domenica 21 settembre 2025

I 10 segnali precoci dell’Alzheimer: riconoscere i campanelli d’allarme della demenza

@Il 21 settembre si celebra la XXXII Giornata mondiale dell’Alzheimer, una patologia che in Italia affligge oltre un milione e 200mila persone, con una crescita attesa oltre i due milioni entro il 2030, secondo le stime Istat.

I 10 segnali precoci dell’Alzheimer: riconoscere i campanelli d’allarme della demenza

«in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimerr - ha scritto la ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli in un post su Facebook - rivolgo un pensiero a tutte le persone che convivono con questa malattia e alle loro famiglie, che ogni giorno affrontano con coraggio difficoltà e sfide complesse. Questa giornata ci ricorda quanto sia importante garantire sostegno concreto, servizi adeguati e una rete di comunità solidali. Fondamentale è il lavoro quotidiano di operatori, volontari, ricercatori e associazioni che, con professionalità e dedizione, accompagnano pazienti e caregiver. Continuiamo insieme a promuovere consapevolezza, prevenzione e percorsi di cura e assistenza capaci di valorizzare la dignità di ogni persona».

In Italia si stima vi siano circa 1,2 milioni di casi di demenza nella fascia d’eta pari o superiore ai 65 anni e circa 24mila casi di demenza giovanile compresi nella fascia 35-64 anni. Quote a cui si aggiungono anche circa 950mila le persone con Mild Cognitive Impairment, condizione che talvolta precede l’inizio della demenza. Se si considera poi che accanto a queste 2,2 mln di persone con un disturbo cognitivo vivono circa 4 milioni di familiari, è possibile stimare che circa il 10% della popolazione italiana si trova ad affrontare questo problema. Sono i dati riportati, in occasione del World Alzheimer’s Day che si celebra domenica 21 settembre, in un focus dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

La demenza è una condizione clinica di natura cronico-degenerativa, vascolare, metabolica o infiammatoria, che si presenta in diverse condizioni patologiche primarie e secondarie. La storia naturale della malattia è caratterizzata dalla presenza di deficit cognitivi progressivi (memoria, linguaggio, funzioni esecutive, astrazione), disturbi del comportamento e danno funzionale, con perdita dell’autonomia fino alla completa dipendenza dagli altri. Rappresenta una delle maggiori cause di disabilità e il costo complessivo della demenza è stato stimato in 23 miliardi di euro l’anno di cui il 63% a carico delle famiglie. L’Alzheimer rappresenta una quota significativa di questi casi.

Esistono dieci campanelli d’allarme che segnalano la malattia: 
  • 1) perdita di memoria che limita la vita quotidiana (dimenticare le informazioni nuove, e quindi ripetere più volte le stesse domande o ricorrere più spesso ad appunti e altri ausili per ricordare le cose) che non significa dimenticare occasionalmente nomi o appuntamenti e ricordarli successivamente, come capita con l’età; 
  • 2) difficoltà a pianificare o risolvere i problemi (per esempio difficoltà nell’eseguire una ricetta ben conosciuta o nel concentrarsi, che è qualcosa di più di errori occasionali che si possono fare con l’età nei conti o nel tenere le spese di casa); 
  • 3) difficoltà a compiere le azioni familiari (routine quotidiane, guida su percorsi conosciuti, ricordare le regole di un gioco); 
  • 4) Confondere i luoghi e le date (difficoltà con le stagioni e il passaggio del tempo, che implicano anche dimenticare dove ci si trova o come si è arrivati in un posto, e non solo dimenticare un giorno della settimana per poi ricordarlo in un secondo momento); 
  • 5) difficoltà con le relazioni spaziali e le immagini (diversi dai cambiamenti tipici dell’età che possono essere problemi di vista legati alla cataratta); 
  • 6) difficoltà nel trovare i vocaboli, nel seguire conversazioni, nel nominare gli oggetti; 
  • 7) perdere le cose e non riuscire a ritornare sui propri passi (e soprattutto negli stadi avanzati può capitare di accusare altri di averle rubate); 
  • 8) perdere in tutto o in parte la capacità di giudizio (non saper maneggiare il denaro, avere poca cura di sé); 
  • 9) abbandonare il lavoro o le attività sociali; 
  • 10) cambiamenti nell’umore o nella personalità (diventare tristi o irritabili in situazioni di stress per esempio).
Il principale fattore di rischio non modificabile associato alla demenza è l’età, spiegano gli esperti dell’Iss, ma vi sono 14 fattori di rischio modificabili: basso livello di istruzione, ipertensione, ipoacusia, obesità, fumo, depressione, inattività fisica, diabete, scarse relazioni sociali, eccessivo consumo di alcol, esposizione all’inquinamento atmosferico, traumi cerebrali, deficit visivo non trattato e alti livelli di colesterolo Ldl. Fattori che possono consentire di ridurre fino al 45% i casi di demenza (Lancet Commission 2024). L’Iss segnala che alcune mutazioni genetiche sono responsabili di forme rare a trasmissione autosomica dominante. «Al contrario degli stereotipi che si sono formati nei decenni passati, l’esperienza delle demenze ormai non si riduce alla malattia - spiega Nicola Vanacore, responsabile dell’Osservatorio - È un mondo intero che ingloba la soggettività dei pazienti e il loro rapporto con i familiari, i caregiver, i medici, le associazioni e le istituzioni. È un percorso in espansione che implica vari attori sociali e culturali, impegnati nella condivisione e nella relazione di cura, basata su competenze multidisciplinari, per far sì che il paziente sia ascoltato e seguito in tutte le fasi della malattia»

Per quanto riguarda la mappatura dei servizi dedicati alle demenze, l’Osservatorio dell’Iss ha censito 511 Centri per i disturbi cognitivi (223 al nord, 102 al centro e 186 al sud), 1.671 Rsa (1.157 al nord, 368 al centro, 146 al sud) e 443 centri diurni (307 al nord, 87 al centro e 49 al sud)..

Video correlato: Segni Nel Linguaggio Che Potrebbero Indicare Alzheimer Precoce (unbranded - Lifestyle Italian)

lunedì 25 agosto 2025

Amare il proprio cane più delle persone, è possibile? La scienza lo spiega

@ - Il legame affettivo con un cane non è solo normale, ma porta benefici concreti alla salute fisica e mentale. Ecco cosa dice la scienza.

Un amore speciale e naturale
Se avete mai detto: Amo il mio cane più delle persone”, sappiate che non c’è nulla di strano. L’antropozoologia, la disciplina che studia i rapporti tra esseri umani e animali, ha da tempo escluso che questi legami affettivi possano essere patologici. Al contrario, l’amore per il proprio cane è del tutto naturale e supportato da evidenze scientifiche.

Amare il proprio cane più delle persone, è possibile? La scienza lo spiega

Prendersi cura di un animale, infatti, favorisce lo sviluppo di empatia, senso di responsabilità e un profondo senso di compagnia, elementi che rafforzano il legame tra l’uomo e il suo amico a quattro zampe. Questo legame porta con sé benefici concreti, scientificamente provati.

I benefici della convivenza con un cane

Riduzione della solitudine
Secondo una ricerca pubblicata sul Colombian Journal of Livestock Sciences, le interazioni quotidiane positive con un animale domestico contribuiscono a ridurre la solitudine percepita. La loro compagnia costante rappresenta un antidoto efficace contro l’isolamento sociale.

Sostegno nei momenti difficili
Studi recenti dimostrano che, nei casi di malattia mentale cronica, la presenza di un animale domestico può alleviare i sintomi. I cani forniscono un sostegno emotivo inestimabile durante i periodi più difficili, offrendo conforto e stabilità.

Riduzione di ansia e depressione
Accarezzare un animale riduce significativamente i livelli di ansia e stress. Come riportato in uno studio pubblicato sulla rivista Anxiety, Stress, and Coping, il semplice contatto fisico con un cane può avere un effetto calmante immediato, indipendentemente dalla specie dell’animale.

Un senso di scopo vitale
Nei soggetti anziani, prendersi cura di un animale domestico aiuta a combattere la mancanza di scopo e significato nella vita. Una ricerca del 2019, pubblicata su Aging & Mental Health, ha evidenziato come la presenza di un cane favorisca una migliore socializzazione e doni un senso di responsabilità quotidiano.

Miglioramento della salute fisica
Convivere con un cane promuove uno stile di vita meno sedentario. Le passeggiate quotidiane e l’attività fisica giocano un ruolo fondamentale nella prevenzione delle malattie coronariche, rendendo i cani dei veri alleati per la salute del cuore.

Una relazione basata sul benessere
Il legame tra esseri umani e cani non è solo affettivo, ma si traduce in benefici tangibili per il benessere mentale e fisico. I cani offrono compagnia, conforto e motivazione, migliorando la qualità della vita delle persone con cui convivono.

Notizie dai Giovani: La cannabis può danneggiare la mente più di quanto...

Notizie dai Giovani: La cannabis può danneggiare la mente più di quanto...:   @ -  Negli ultimi vent’anni, la cannabis ha visto un aumento drastico della propria potenza, con concentrazioni di THC oggi cinque volte s...

sabato 12 luglio 2025

Non basta solo camminare dopo i 40 anni. L'avviso della cardiologa: “Rischi di invecchiare male”

 @ - Il dibattito è aperto. Anche se devo dire che, come tanti altri, non ha molto senso. Sembra che se non si faccia allenamento di forza, si sia praticamente spacciati, ma la realtà è che, sebbene sia molto importante, quella non è l'unica cosa che conta per invecchiare bene, e ovviamente, non invalida altri tipi di attività fisica.

Ok il cardio e il movimento blando, ma c'è un aspetto che si sta rivelando sempre più importante per affrontare meglio gli anni che passano© filadendron - Getty Images

E dobbiamo essere chiari sul fatto che qualsiasi tipo e quantità di esercizio è meglio che stare seduti tutto il giorno. Tuttavia, non è meno vero che più ci muoviamo entro i nostri limiti, meglio staremo sia fisicamente che mentalmente. E, ovviamente, l'allenamento di forza aiuta, soprattutto a certe età, quando tutto ciò che facciamo è camminare. Una cardiologa avvisa che non basta camminare dopo i 40 anni. E spiega perché.

Non basta camminare a 40 anni: ma perché?
"Se cammini solo, stai fallendo. Camminare è un buon inizio, ma non previene ciò che ti rende davvero fragile, ovvero la perdita di massa muscolare. A partire dai 40 anni, perdiamo fino all'1% della massa muscolare ogni anno", afferma Magdalena Perelló, cardiologa ed educatrice sanitaria.

"Sai cosa succede quando abbiamo meno muscoli? C'è un rischio maggiore di infarti e diabete, di cadute e morte prematura. I muscoli sono la nostra medicina. Producono sostanze come gli ormoni mucinosi, che sono antinfiammatori, cardioprotettivi e neuroprotettivi. Poche cose possono allungare la vita così tanto. Allenati anche a 40, 60 o 80 anni", conclude la specialista.

L'importanza dell'allenamento della forza a 40 anni
E non ha torto, poiché diversi studi confermano l'importanza di questo approccio di allenamento. Infatti, una meta-analisi pubblicata sul British Journal of Sports Medicine conclude che 30-60 minuti di attività di rafforzamento muscolare alla settimana sono associati a un rischio inferiore del 10-20% di morte per tutte le cause, nonché di sviluppo di malattie cardiovascolari, diabete e cancro.

Tuttavia, ed ecco il vero punto: è vero che non basta camminare a 40 anni e se approfondiamo un po' di più gli studi scientifici, l'allenamento di forza aumenta effettivamente la longevità, ma combinarlo con l'attività cardio ne aumenta ulteriormente i benefici.

Quindi, se non pratichi l'allenamento di forza, questo è un buon momento per prenderlo in considerazione, ma se cammini, nuoti o corri, non c'è motivo di sostituirlo. Assolutamente no. Se volete vivere più a lungo e meglio, combinate entrambi gli approcci di allenamento.